UN SIGNIFICATIVO INCONTRO. Uno dei più significativi incontri tra scienza e meditazione data 1983, quando su iniziativa del neuro-scienziato francese Francisco Varela e del Dalai Lama Tenzin Gyatso - guida spirituale del buddhismo tibetano -, è stato creato un forum permanente per avviare un dialogo tra scienziati di fama e rappresentanti dell’universo religioso e spirituale. È nato così il Mind and Life Institute, un istituto dedicato allo studio della scienza contemplativa. Nel 2000 il Dalai Lama ha poi dato un nuovo impulso all’impresa, invitando gli scienziati a studiare l’attività del cervello di meditatori buddhisti esperti - praticanti che possono vantare tra le 10 mila e le 40 mila ore di pratica - inaugurando così un nuovo ramo degli studi scientifici, quello delle «neuroscienze della contemplazione». Da allora e per circa 15 anni, oltre 100 monaci buddhisti, praticanti laici e un gran numero di principianti hanno partecipato agli esperimenti effettuati all'Università del Wisconsin a Madison e in almeno altre 19 università.
Nel 2005 il Dalai Lama è intervenuto alla conferenza annuale della Society for Neuroscience a Washington, rivolgendo al consesso una domanda provocatoria e stimolante, a cui lui stesso preferendo i fatti alla retorica, aveva già cominciato a cercare di rispondere. Questa domanda era: «Che relazione può esserci tra buddhismo, un'antica tradizione spirituale e filosofica indiana, e scienza moderna?»
Nell’aprile 2013 si è tenuto a Denver il primo simposio internazionale dedicato allo studio delle scienze contemplative. Centinaia di neuroscienziati, psicologi, clinici ed esperti di meditazione provenienti da prestigiosi laboratori di ricerca hanno condiviso i più recenti risultati sui meccanismi cognitivi e neuronali alla base delle pratiche contemplative, i loro effetti sulla salute mentale e fisica e le possibili applicazioni in campo educativo.
Gran parte di questo lavoro è oggi confluito in un volume frutto della collaborazione tra due neuroscienziati, Jon Kabat-Zinn e Richard J. Davidson, e il Dalai Lama dal titolo "La Meditazione come Medicina. Scienza, minfulness e saggezza del cuore". Insieme ad altri scienziati, di questo gruppo di pionieri fa parte anche un monaco buddhista con una formazione in biologia cellulare, Mathieu Ricard.
Può essere utile ricordare, in estrema sintesi e con terminologia più neutra possibile, che la dottrina buddhista afferma: 1) la meditazione ha per obiettivo l’eliminazione della sofferenza mentale,
come pensieri ossessivi o emozioni negative; 2) la pratica è efficace se genera cambiamenti negli stati emotivi e cognitivi,
in particolare nelle abitudini centrate sul sé; 3) i cambiamenti devono nascere spontaneamente dall’osservazione
dettagliata degli stati emotivi e dalla comprensione dei fenomeni
mentali.
Negli studi condotti nell'ambito delle iniziative del Mind and Life Institute, si fa riferimento alla meditazione come al "coltivare qualità umane fondamentali, quali una mente più ferma e più lucida, l’equilibrio emotivo, la sensibilità consapevole al benessere altrui, l’amore e la compassione". Secondo gli stessi scienziati autori dei diversi studi, sono tutte qualità che rimangono latenti fino a quando non ci si impegna a svilupparle, e da questo punto di vista la meditazione può essere definita un processo che avvicina le persone a uno stile di vita più sereno e flessibile.
Il Dalai Lama Tenzin Gyatso parla in una delle sessioni pubbliche del Mind and Life Institute
Forse anche per la lungimirante iniziativa del Dalai Lama, oggi i neuroscienziati si interessano soprattutto a tre tipi di meditazione: la meditazione con attenzione focalizzata, la meditazione con attenzione consapevole (mindfulness, o meditazione aperta) e la meditazione orientata a sentimenti compassionevoli. Sono forme derivate da differenti scuole del buddhismo, praticate sia in un contesto sia religioso sia laico.
Meditazione con attenzione focalizzata. Consiste nel concentrarsi su qualcosa - come una fiamma o il respiro -, con lo scopo di stabilizzare l’attenzione e imparare poi progressivamente a regolarla. L’obiettivo è acquietare la mente, ridurre le distrazioni e accedere a uno stato di sorveglianza dei processi interiori come emozioni, pensieri o percezioni. Lo sviluppo di questo tipo di capacità permette anche di passare più agevolmente al secondo tipo di pratica meditativa, quella con attenzione consapevole.
Meditazione di consapevolezza. Consiste nel rimanere nello stato di sorveglianza senza però focalizzare l’attenzione su un oggetto in particolare. È un po' come accedere direttamente alla fonte dell’esperienza soggettiva, quella dove prendono vita l’intensità delle percezioni e il livello di coinvolgimento del sé autobiografico, la stessa dove convergono i dati dell'esperienza e l'incessante flusso di ricordi e conoscenze.
Meditazione compassionevole o di amore-benevolenza. Consiste nel coltivare comportamenti e atteggiamenti altruistici, emozioni positive, e di inibire le tendenze centrate sul proprio io.
Una sessione del lavori del Mind and Life Institute
Questo virtuoso incontro tra scienza e medicina occidentale e religioni e tradizioni orientali, ha prodotto nei decenni una enorme mole di dati e scoperte. Una massa di elementi di valutazione che, paradossalmente, può contribuire più a complicare che a chiarire l'idea di cosa sia la meditazione che, nella sua essenza, è un qualcosa di estremamente semplice.
E forse un esempio meno specifico può aiutare a chiarire i dubbi di molti. Quando impariamo un gioco di destrezza o a suonare uno strumento musicale, il cervello si modifica attraverso un processo chiamato appunto neuroplasticità. L’area cerebrale che controlla il movimento delle dita di un violinista, per esempio, si espande progressivamente, via via che aumenta l’abilità del musicista con lo strumento. Un processo simile avviene anche durante la meditazione. Man mano che progredisce nella pratica, la persona che medita è in grado di regolare i propri stati mentali per raggiungere una forma di arricchimento interiore, un’esperienza capace di modificare il funzionamento e la struttura del cervello e della reattività psicofisica in generale. Questa evoluzione in base all’esperienza è un fenomeno comune alla maggior parte dei domini dell’apprendimento. In questo senso la pratica meditativa ha degli effetti che somigliano all’abilità di musicisti e atleti di immergersi nel «flusso» della propria esecuzione o prestazione atletica, con un minimo senso di sforzo cosciente. In pratica, aldilà di tutti gli effetti più specifici che sono stati elencati, la meditazione sviluppa una abilità diffusa e in gran parte inconscia che permette di "funzionare meglio con uno sforzo minore".
Il Dalai Lama Tenzin Gyatso incontra gli scienziati in una delle sessioni di lavoro del Mind and Life Institute
In generale, secondo diversi scienziati, la pratica della meditazione apre la strada verso un miglioramento dell'esperienza cosciente, di se stessi e del proprio contesto fisico ed emotivo, una "via di consapevolezza e benessere" i cui effetti sarebbero una sorta di «cervello aumentato», senza il bisogno di pillole o impianti neuronali. Ma sono gli stessi scienziati a sottolineare che considerare la meditazione solo una tecnica psicofisica o una fitness mentale significa banalizzare in modo inaccettabile una nuova prospettiva che presuppone un'etica profonda, seppur affrancata da qualsiasi appartenenza religiosa. Una prospettiva in cui a ogni essere umano è data la possibilità di coltivare il proprio spirito, la propria salute e il proprio benessere, una pratica che potrebbe avere un effetto profondamente benefico su tutti gli aspetti della società e della convivenza umana.
Comentarios